La pandemia è una guerra?

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La pandemia è una guerra?

Muccio & Counselors
Pubblicato da Giorgio Muccio in Attualità · 21 Aprile 2020
Tags: Economia
Sempre con maggior frequenza e da parte di un numero maggiore di persone si vuole equiparare la difficile situazione che stiamo vivendo ad un evento bellico, non solo per giustificare le misure straordinarie da mettere in campo ma anche per ipotizzare le conseguenze.
Questo messaggio sembra essere accolto quasi come una ovvietà tanto da non lasciare spazio ad altra interpretazione, forse perché ormai pochissimi sono coloro che hanno una concreta memoria dell’ultimo conflitto mondiale.
Provando a sintetizzare i caratteri più rilevanti di un qualsiasi evento bellico combattuto su un territorio e ponendo il focus sugli aspetti che interessano l’attualità, è possibile sottolineare tre elementi per il confronto.
Innanzitutto, durante una guerra la produzione industriale non si arresta ma anzi aumenta dopo essere riconvertita, così come il commercio si adegua ai nuovi fabbisogni in direzione di beni e servizi maggiormente essenziali.
Inoltre, una guerra tradizionale causa la distruzione di immobili, infrastrutture e sposta gran parte della spesa pubblica dallo sviluppo socio culturale allo sviluppo di tecnologie militari.
Altro aspetto è il prezzo in termini di vite umane che vede un forte riduzione della popolazione c.d. attiva, cioè di quelle persone che possono e devono combattere, che per chiarezza va dai 16 ai 60 anni.
Del tutto differente è ciò che ha causato e che causerà il COVID.
Quasi tutte le attività produttive soffrono esclusivamente per un’asfissia “di cassa”, ma la loro capacità è invariata. Infatti, un ristorante manterrà tavoli, cucine, macchinari, ecc. così come una impresa meccanica continuerà ad avere capannoni, torni, impianti, ecc.; nulla è stato distrutto e pertanto nulla andrà ricostruito. Anche da un punto di vista della “forza lavoro” nulla cambierà in considerazione del fatto che ad oggi i minorenni sembrano essere quasi del tutto immuni dai rischi del virus e la popolazione in età lavorativa conta un numero di perdite trascurabili a livello macroeconomico.
Se queste brevi considerazioni, che non vogliono essere le conclusioni di un’analisi ma solo uno spunto di riflessione, inducono a pensare che non dovremmo pensare a ipotetici benefici di una “ricostruzione” che non ci sarà, ma concentrarci su veri problemi che affronteremo, e che, in parte, abbiamo iniziato ad affrontare.
Innanzitutto, il problema principale è quello della liquidità, cioè della quantità di moneta in circolazione, che ha creato sofferenza negli ultimi decenni e che ora rischia di mettere in ginocchio il paese. Quando capiremo che il denaro non è un bene ma uno strumento necessario allo scambio di beni e servizi, allora potremo spendere il nostro tempo a migliorare la qualità della produzione piuttosto che a ricercare chi ce lo possa prestare. Solo per inciso, ritengo risibile il pensiero di coloro che vedono nella perdita dei pensionati un risparmio dello stato, perché non vedono che ciò costituisce una ulteriore perdita di liquidità; ma sull’idea che l’obbiettivo principale di uno stato debba essere il risparmio della spesa dedicherò un apposito articolo.
Un ultimo pensiero. Come detto la scarsa quantità di moneta in circolazione è stato, è, e resterà il principale problema per la sostenibilità del sistema, ma se non ricordiamo che l’economia si basa sulla competizione, faremmo un grande errore. La solidarietà che in queste settimane invochiamo e cerchiamo negli altri paesi europei e non, è cosa buona e giusta tra comunità civili, ma le imprese non possono smettere di combattere. Così le nostre aziende, se non saranno messe in grado di stare sui mercati, perderanno le commesse e nessuno, nemmeno lo stato potrà fare nulla. Infatti, mentre per una crisi finanziaria lo stato può dare contributi economici in vari modi, per una crisi commerciale non c’è soluzione. Se le società italiane non potranno produrre, contrariamente ai loro competitor internazionali, i loro clienti acquisteranno altrove; allora, scusandomi per ciò che appare banale, è forse il caso di ricordare che un’attività necessita di molto tempo e risorse per crescere ed affermarsi, ma che può chiudere in un istante.



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